giovedì 8 gennaio 2009

Financial Times, no a colosso Unicredit-Mediobanca-Generali

La creazione di un colosso finanziario Unicredit-Mediobanca-Generali, per quanto «politicamente attraente per alcuni», creerebbe «una nuova enorme concentrazione di potere aziendale» e «potrebbe non essere nell'interesse del Paese», oltre che dei componenti del nuovo gigante. Lo scrive sul Financial Times Paul Betts che, in un commento dal titolo "La discutibile logica di un colosso finanziario italiano", mette in guardia contro l'ipotesi di fusione tra Unicredit, Mediobanca e Generali di cui si è parlato sulla stampa italiana.«L'Italia si è sempre lamentata della sua mancanza di campioni nazionali di portata veramente globale», esordisce Betts nella sua rubrica "European View". Certo, il Paese ha una buona rete piccole e medie imprese «ma una nazione industrializzata ha bisogno anche di grandi gruppi multinazionali per sostenere il suo sistema economico e l'Italia può vantarne solo una manciata». Tra questi, Eni ed Enel, il gruppo Fiat, la Finmeccanica e Telecom Italia, ora «assai indebolita». Il consolidamento nell'industria bancaria ha creato due grandi banche, Intesa, soprattutto nazionale, e Unicredit, «paneuropea, almeno fino alle recenti difficoltà». «Ogni lista sarebbe incompleta senza Generali, uno dei tre principali assicuratori d'Europa».Ora «sembra» che ci siano tentativi di ravvicinare Unicredit, Mediobanca e Generali. Indubbiamente, secondo Betts, i tre insieme potrebbero formare uno dei più grandi conglomerati finanziari d'Europa. Secondo indiscrezioni pubblicate sulla stampa italiana, spiega, gli azionisti di controllo di Unicredit e Mediobanca avrebbero esaminato se una fusione tra le due banche sia possibile. «Le due parti hanno fin qui smentito di avere considerato anche informalmente una mossa del genere, ma nessuno crede loro davvero». Unicredit è il maggiore azionista di Mediobanca, con l'8,7%, ricorda il Financial Times. Un tempo considerata come la banca italiana più internazionale e meglio gestita, «Unicredit e il suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, sono caduti dal piedistallo» in seguiti a «errori di valutazione» nella gestione della crisi finanziaria. Ora Unicredit sta rafforzando il suo capitale di base con la vendita di asset e ha lanciato un'emissione di 3 miliardi di euro di strumenti convertibili. «Se il capitale di base dovesse avere bisogno di ulteriore rafforzamento, allora una fusione con Mediobanca potrebbe essere un'opzione. La banca d'investimento milanese ha retto bene durante la crisi creditizia, ma potrebbe cominciare a sentirla». Mediobanca, ricorda Betts, ha recentemente lanciato attività bancaria al dettaglio per raccogliere fondi a buon mercato e ha ampliato il credito al consumo. «Ma queste mosse difficilmente faranno la differenza nel breve termine e la banca potrebbe essere tentata di rafforzare il suo finanziamento agganciandosi all'estesa rete al dettaglio di Unicredit». In ogni caso, «se effettivamente le due parti stanno discutendo, deve essere conveniente per entrambi farlo».«Supponendo che Unicredit e Mediobanca stiano discutendo una possibile fusione – si legge ancora sul Financial Times -, la concentrazione coinvolgerebbe anche Generali». Mediobanca è l'azionista centrale del gruppo assicurativo, con il 15%, mentre Unicredit possiede una quota più piccola, anche se ha detto che potrebbe venderla. «Non ci vuole molta immaginazione a ipotizzare una fusione tripartita tra Unicredit, Mediobanca e Generali», scrive Betts, avvertendo dei rischi di un matrimonio del genere. L'opinionista cita la lezione della recente crisi, che ha insegnato quanto sia pericoloso creare grandi conglomerati finanziari che mescolano insieme business «non familiari». Allianz, il rivela tedesco di Generali, «ha rimpianto amaramente la sua fusione con Dresdner, che ora sta scaricando a Commerzbank». «Fortis, Dexia e altre vittime della crisi hanno mostrato i limiti del modello "bancassurance"». «Aig è stata trascinata giù non tanto dal suo business assicurativo ma dalla sua unità bancaria che ha investito in prodotti subprime».

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