giovedì 26 febbraio 2009

Obama in azione

Entro l'agosto 2010, tutte le unità da combattimento americane andranno via dalla Mesopotamia. «Ne parlerà in dettaglio — ha detto Biden —, penso che il pubblico americano capirà esattamente cosa stiamo facendo e ne sarà soddisfatto». Durerà quindi 19 e non 16 mesi, come Obama aveva promesso in campagna elettorale, il processo di ritiro. Una piccola concessione alle richieste dei comandanti militari, preoccupati di consolidare i successi degli ultimi mesi e rafforzare le istituzioni politiche locali, che nulla toglie però al rispetto dell'impegno di fondo, che è stato la cifra della sua candidatura e una delle ragioni del suo successo. Dopo sei anni di guerra e oltre 4.200 soldati caduti, il nuovo capo della Casa Bianca chiude il capitolo più pericoloso dell'avventura irachena. Ma, come anticipato, la decisione non mette fine alla presenza americana in Iraq: decine di migliaia di soldati rimarranno nel Paese, per addestrare le forze irachene, vegliare sulle installazioni Usa, dare la caccia alle cellule terroristiche.

Io mi chiedo se questa gestione avrà successo, in relazione all'alto grado di penetrazione delle cellule terroristiche in medio oriente. Senz'altro sarà difficile un futuro prosperoso in Iraq, con le organizzazioni terroristiche sempre pronte all'attacco e alla penetrazione in territori poco difesi. L'Iraq è un paese con una storia formidabili ma ne dopo Saddam non si è creato nulla di così forte al momento, noi non sappiamo quasi niente sulle condizioni politiche di questo paese, e sinceramente sono scettico su una propria autosufficienza. Si spera che gli Stati Uniti facciano abbastanza. Certamente abbandonare la guerra significa avere meno costi in termini di vittime tra i propri soldati sia in termini economici. Si dovrà poi vedere il futuro iracheno, in termini di benessere e di sicurezza della popolazione, che difficilmente si farà assoggettare a regimi dittatoriali ma che sarà abbastanza debole davanti ai big del terrorismo

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