lunedì 4 agosto 2008

Trading-dipendenza


«La notte facevo fatica ad addormentarmi. Aspettavo solo che facesse mattino per collegarmi e fare i primi ordini. Durante il lavoro poi, appena potevo, tornavo a casa a controllare l'andamento delle azioni. Compravo, vendevo, speculavo. Arrivavo a muovere più di diecimila euro al giorno. Qualche volta andava bene, qualche altra meno. Ma alla fine mi sono trovato senza più un soldo». La storia che Fabio (nome di fantasia) ci ha raccontato, è quella di una passione sfociata in dipendenza. Un pallino, quello del trading online, diventato schiavitù simile all'alcolismo o alla droga, anche se forse il paragone più azzeccato è con il gioco d'azzardo. Fabio ha puntato i suoi soldi su azioni e strumenti finanziari complessi al "tavolo verde" della Borsa Italiana.
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Fabio è stato malato di "gioco in Borsa compulsivo", un disturbo mentale della famiglia degli "internet addiction disorder". Come la dipendenza da chat, da pornografia online o dai videogiochi. Il trader compulsivo agisce proprio come un giocatore d'azzardo. Si fa guidare dall'istinto più che dalle competenze e dalla ragione, non sa mai quando fermarsi, non riconosce i propri limiti. «È molto difficile individuare un problema di dipendenza da trading - spiega Paolo Cavedini psichiatra del San Raffaele di Milano, specializzato in dipendenza da gioco d'azzardo - chi passa la giornata davanti al videopoker è evidentemente malato. Chiunque lo riconosce. Per chi fa trading è diverso. Fare investimenti in azioni o obbligazioni è un'attività socialmente accettata. Per cui, chi ha delle grosse perdite, non è necessariamente una persona con dei problemi psichiatrici. Nella maggior parte dei casi è uno che ha fatto un investimento sbagliato».
Non sono cause specifiche a scatenare la compulsività. Nella maggior parte dei casi è la combinazione di diversi fattori. C'è la predisposizione fisiologica ad esempio. «Alcune persone - spiega Paolo Cavedini - hanno una maggior percezione del livello di rischio a cui vanno incontro e riescono a rimanere freddi e prendere decisioni giuste anche in condizioni di stress. Altri invece si fanno prendere più facilmente dall'emotività. Questi ultimi sono i soggetti più a rischio». Ci sono poi fattori esterni. Ad esempio un crollo inaspettato dei listini che manda in fumo un investimento. Per Fabio, l'inizio della fine ha coinciso con il crack della Parmalat del 2003. «Me lo ricordo bene – racconta – da un giorno all'altro persi quasi 30mila euro. E pensare che la settimana precedente ne avevo guadagnati mille». La batosta è pesante e Fabio cerca di farvi fronte come può, ma a un certo punto la situazione gli sfugge di mano. «Ero ossessionato dal recuperare quei soldi – racconta – è così iniziai a fare investimenti sempre più rischiosi. Puntai sui covered warrant (strumenti finanziari molto complessi, solitamente appannaggio di esperti e trader professionisti, ndr). Ogni giorno compravo e vendevo, compravo e vendevo. Mettendoci sempre più soldi. Senza accorgermene, diventai dipendente».
Fabio cerca in tutti i modi di nascondere la realtà ai suoi familiari. Ma sua moglie si rende conto che qualcosa non va. Inizia a chiedere aiuto. A psichiatri, psicologi e anche al SerT (il Servizio tossicodipendenze che aiuta anche i malati di gioco d'azzardo). Ma, nel migliore dei casi, si sente rispondere: «Signora, suo marito sta benissimo, ha solo fatto degli investimenti sbagliati». Qualcuno addirittura le consiglia di divorziare. Intanto però la situazione finanziaria della famiglia precipita. È il mese di marzo del 2007, quando Fabio tocca il fondo. Un ribasso del titolo Tenaris e il suo conto in banca si svuota: in pochi anni ha dilapidato 150 mila euro. «Fu allora che confessai tutto a mia moglie, che fino ad ora non sapeva quanto avevo investito. D'accordo con lei decisi di intestarle quanto restava dei miei risparmi, e affidarle la gestione del conto corrente». Ma a quel punto Fabio, per reazione all'astinenza da Borsa, cade in depressione. Appena recupera dei contanti li va a giocare al videopoker o al gratta e vinci. Nel mese di ottobre, si ricovera al San Raffaele di Milano. Una scelta obbligata, considerata la gravità del suo problema. «Per quindici giorni, io e mio figlio ci davamo i turni per sorvegliarlo - racconta la moglie - perché in ogni momento c'era il rischio che fuggisse e andasse al bar a giocare al gratta e vinci». Dopo il ricovero, Fabio inizia un ciclo di sedute di psicoterapia con cadenza settimanale e ora mensile. Oggi sta cercando faticosamente di ricostruirsi una vita.
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Chi è il trader compulsivo? Non è possibile stilare un profilo del giocatore in Borsa patologico. Non ci sono dati o statistiche. Ma dalle testimonianze che abbiamo raccolto è emerso che questo disturbo interessa sia dilettanti del trading, come Fabio, che di lavoro fa il commesso, che professionisti della finanza. La storia che ci ha raccontato Daniela Capitanucci, psicologa che lavora per un'associazione specializzata nelle cosiddette "nuove dipendenze", ne è la riprova. «Ho avuto in cura un consulente finanziario, impiegato in una banca – racconta - tra la fine degli anni 90 e il 2000 iniziò ad avere i primi problemi. Faceva investimenti molto rischiosi, sia sul suo conto, che sui portafogli che aveva in gestione. A un certo punto però, ebbe una grossa perdita sul conto di un suo cliente. Da quel momento entrò in una spirale pericolosa, spinto dalla necessità di recuperare il capitale perduto. Iniziò a sottrarre fondi dai conti dei clienti, per acquistare e rivendere titoli. Ad un certo punto però la banca si accorse delle irregolarità, scoprendo un buco per oltre 200 milioni di lire. L'istituto decise di non fargli causa per evitare che la notizia uscisse generando uno scandalo. Ci fu un accordo: la banca non lo avrebbe querelato in cambio del suo silenzio. L'unico risarcimento fu la trattenuta della sua liquidazione. Un'ottima soluzione per lui, che avrebbe rischiato il carcere in caso di condanna». La conferma di come la dipendenza da trading sia un problema da cui non sono immuni gli addetti ai lavori arriva anche da Dario Angelini, psicologo terapeuta del Laboratorio Famiglia di Roma. «Tra i miei pazienti ho avuto studenti di economia e commercio e professionisti - fa sapere – persone estremamente competenti che, proprio per la loro conoscenza approfondita del funzionamento dei mercati si sentivano troppo sicuri di se e hanno finito per rovinarsi». Non è raro poi che professionisti della finanza si rivolgano a specialisti anche quando il problema non ha raggiunto un livello di gravità tale da essere considerato patologico. «Ho avuto in cura un consulente finanziario e un trader professionista che lavora in una società di broker» dice Paolo Cavedini. «Hanno chiesto il mio aiuto perché, nonostante un altissimo livello di competenza nel loro lavoro, non riuscivano ad essere lucidi ed efficienti come volevano. Abbiamo fatto sedute di psicologia comportamentale. Successivamente gli ho insegnato delle tecniche di rilassamento per aiutarli a gestire meglio il momento della decisione».

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