sabato 6 settembre 2008

Atenei poli d'innovazione

Riprendendo un'intervista fatta da ilsole24ore, notiamo ancora una volta che la vera essenza dello sviluppo è insita nella ricerca. Ma vediamo meglio cosa dice il boss della Silicon Valley.
«Se abbiamo la Silicon valley lo dobbiamo alle università»: parola di John Hennessy, il tecnologo che presiede l'ateneo Stanford, in California, il "serial entrepreneur" che per primo ha scalato i vertici di un campus Usa.La maggior parte delle università americane, gestite con criteri privatistici, sono molto avanzate nella ricerca. Riescono a ottenere fondi, a fare investimenti e a conquistarsi brevetti. Che mettono a reddito. Nel senso che trasformano le idee in attività produttive, in vere e proprie start-up che poi spesso arrivano in Borsa o vengono acquistate da grandi gruppi. In tal modo, oltre a diventare un elemento propulsivo dell'economia, le università Usa riescono stimolare la ricerca e a motivare i giovani tecnologi. Oltre, naturalmente a finanziarsi.La California, grazie anche al follow-up dei laboratori universitari, ha dato i natali alla Silicon valley, ancora oggi il maxidistretto mondiale dell'Information communication technology (Ict). Hennessy è un tecnologo. Tra gli addetti ai lavori viene considerato un pioniere dell'hi-tech. Oltre ad essere docente in California vanta una grande esperienza nella creazione di imprese ad alto contenuto tecnologico: da qui la qualifica di "imprenditore seriale".Abbiamo incontrato Hennessy dopo l'intervento al meeting Ambrosetti, in occasione di una sessione che si è svolta nell'ambito del servizio Ap (Aggiornamento permanente) riservato alla prima linea mangeriale di cui fanno parte oltre 800 manager delle più importanti aziende italiane.
Ingegner Hennessy, visto il suo curriculum e la sua esperienza, la prima domanda è d'obbligo. Qual è il ruolo economico, sociale e politico che le università possono giocare nella crescita?
È indubbio che, specialmente negli Stati Uniti, le università rappresentano un fattore chiave per costruire lo sviluppo. Oltre a rappresentare un forte elemento di modernizzazione della società. Non le sto a ricordare tutte le invenzioni chiave che sono uscite dai laboratori, o le centinaia di start-up lanciate da nostri studenti, alcune molto note, specialmente nel settore internet.
Cosa fate, in concreto, all'università di Stanford? E perché siete così famosi e autorevoli?
La correggo. Sono pur sempre un professore. Forse non tutti lo sanno, ma Stanford non è una città, è una persona. Come Bocconi. E quindi si deve dire università Stanford. Forse siamo famosi perché da noi si sono laureati John Mc Enroe e Tiger Woods. Ma da noi insegnano anche una ventina di premi Nobel. Nel 1952 proprio uno dei nostri docenti vinse questo riconoscimento per aver scoperto la risonanza magnetica. Se lei oggi ha un problema fisico che non sia osseo, ma legato alle parti molli del suo corpo, fa la Tac. E dobbiamo dire grazie alla nostra ricerca.
Qual è il ruolo che ha giocato l'università Stanford per lo sviluppo del territorio?
Guardi, con poca modestia le racconterò la mia storia. Nel 1977, quando sono arrivato all'università Stanford come assistente ed esperto di informatica, il centro dell'elettronica e delle telecomunicazioni americane era localizzato sulla costa atlantica degli Stati Uniti. Se si voleva trattare questi temi, bisognava prendere l'aereo e fare un lungo viaggio. Lì c'erano i mitici Bell laboratories, la Ibm e la Dec. Pensi che quest'ultima è già "morta" un paio di volte, prima acquistata dalla Compaq e poi dall'Hp. In California c'era solo Intel (che allora produceva dischi magnetici) e nessuna società di software. Grazie anche all'impulso delle università oggi esiste appunto la Silicon valley. Che, nonostante l'ormai dimenticata bolla di internet, sta andando a gonfie vele. Lì c'è l'innovazione e il futuro di internet sia come prodotti sia come software sia come sviluppo della rete e dei nuovi servizi. Certo, la svolta è stata data dai microprocessori, dal personal computer e dal web.
È anche per questo che Stanford è un eccezionale polo di attrazione?
Noi siamo un sistema aperto. Oggi il 35% dei nostri studenti sono stranieri. Con punte del 58% per ingegneria.
Da dove arrivano queste nuove leve?
Il primo Paese è la Cina, seguita dall'India. Ma l'aspetto più importante, e lo voglio
sottolineare, è che la maggior parte di queste persone rimane in California o negli Stati Uniti e fonda, o va comunque a lavorare, in aziende hi-tech continuando quindi ad alimentare il circolo virtuoso dello sviluppo. Devo anche confessarle che alcuni dei talenti migliori sono andati fuori corso o non hanno ancora terminato il loro dottorato di ricerca perché attratti dalle sirene dell'industria (che qui suonano le note dei dollari).
Che suggerimenti si sente di dare al nostro Paese per migliorare i rapporti, molto
difficili, tra industria e università?
Il tema è ostico e complesso in tutto il mondo. Perché i due protagonisti parlano lingue diverse e, spesso, hanno culture d'impresa molto diverse. Non esistono quindi formule magiche. Io stesso sono diventato imprenditore quasi per forza, dal momento che nessuno voleva industrializzare il mio brevetto Risc. Detto questo, la prima cosa da fare è un sistema universitario basato sulla meritocrazia sia per i docenti sia per la selezione degli studenti. Serve poi una forte mobilità tra i due attori, elemento che favorisce la circolazione delle idee. Un altro fattore importante è, non sembri paradossale in tempi di globalizzazione, la "prossimità fisica": bisogna promuovere la politica delle "porte aperte". È anche utile incoraggiare giovani e professori ad assumersi dei rischi. Ma la modalità migliore per rendere feconda l'innovazione e il trasferimento tecnologico è rappresentata da un grande rispetto reciproco tra entrambi i partner.

1 commento:

Plummy ha detto...

Secondo me il problema è che in Italia bisogna cercarsi gli incubatori d'impresa. Questo è già difficile per chi ha competenze elevate, per chi è "nell'ambiente", mi immagino quanto è difficile per chi è un tecnico e ha meno competenze manageriali. Mi pare che gli Usa siano un caso a sè. In Italia manca l'incontro tra impresa e università, per questo in Bocconi sono avanti, non per la preparazione, ma per il senso di business. Qualcosa si sta muovendo però, certe università stanno andando verso questa direzione. Direi che sono ottime le università nel campo scientifico nonostante in Italia i fondi siano sempre al minimo. E qualcosa sta cambiando nelle business school, ma è ancora molto in fase iniziale questo sviluppo..purtroppo