martedì 9 settembre 2008

La vita di Saviano

MANTOVA - Sul palco del teatro Sociale di Mantova una sedia e un tavolino di legno; sopra un computer portatile, collegato ad un proiettore, ed un ragazzo di ventinove anni in jeans e camicia bianca che parla al microfono. Ai lati del palco, in piedi, quattro poliziotti in borghese: giubbotto antiproiettili, pistola malcelata nella fondina, auricolare. Il ragazzo che parla è sottoscorta per avere scritto un libro, "Gomorra", che ha venduto più di un milione di copie; potenza della scrittura. La dodicesima edizione del Festivaletteratura chiude con l'agghiacciante rassegna stampa di Roberto Saviano, che documenta come la camorra si serva dei giornali locali per comunicare il suo pensiero e lanciare messaggi. "Corriere di Caserta", titolone in prima pagina: "Don Peppe Diana era camorrista". Il parroco di San Nicola fu ucciso nel 1994 perché aveva sfidato la camorra, «e subito dopo è partita la campagna diffamatoria», osserva Saviano. «È il loro metodo quello di tentare di screditare le persone che gli si oppongono». Altro clic di Saviano al pc ed altro titolo, sempre dal "Corriere di Caserta": "Boss playboy, de Falco re degli sciupafemmine". La tensione in sala si stempera in una timida risata. «C'è la mitizzazione dei boss, i ragazzi ne hanno una tale stima e timore che non pronunciano mai il loro nome, sarebbe come nominare Dio invano».
Nell'ultima mezz'ora Saviano spiega com'è cambiata la sua vita da quel 13 settembre 2006, giorno in cui è stato messo sotto scorta, condizione condivisa con molte altre persone, tiene a precisare. «Non prendi più un treno, non sali più su una macchina che non sia blindata. Cosa fai, con chi esci?». Parla in seconda persona, quasi a marcare una vicinanza, come se questa cosa eccezionale capitata a lui, potesse toccare in sorte a ciascuno di noi. Confida di avere «il sogno di una casa», di non riuscire a trovare casa a Napoli, ma neppure a Roma. «La mia presenza dà fastidio, mi odiano soprattutto le persone lontane dai clan, gli dà fastidio il continuo confronto con loro, è come se io dicessi: io sono migliore di voi». Con il pc fa partire un servizio di una trasmissione Mediaset in cui la sorella del boss Cicciariello, quello arrestato con l'amante, a commento di "Gomorra" dice: «Cosa gli abbiamo fatto noi di Casale di Principe? Gli abbiamo violentato la moglie, gli abbiamo violentato la fidanzata, ammazzato un fratello?». È difficile addormentarsi con tali parole nella testa, assicura Saviano: «Ti distruggono la quotidianità, ti fanno capire che anche le persone intorno a te sono in pericolo». Quindi ricorda come, il giorno stesso di quel servizio televisivo, fu ucciso un uomo che aveva denunciato i camorristi nove anni prima, e a cui era stata appena tolta la scorta. "Tardariello ma mai scurdariello", recita un detto campano che non necessita di traduzione: la vita di Saviano non sarà mai più al sicuro. La sala è ammutolita, si sta identificando in quel ragazzo, e alla fine molti si commuovono mentre lo scrittore enuncia le persone alle quali intende dedicare la serata: «Ai miei ragazzi della scorta; ci muoviamo sempre insieme e mi piace pensare a noi come a una falange. A Serena, che è andata via perché la mia vicinanza la lerciava. A chi è venuto a vedermi dopo tanto tempo». Serena non si sentiva più tale accanto a questo ragazzo, che ha ricevuto un applauso di sei minuti da parte del pubblico, ma che ieri sera si è addormentato solo ancora una volta.
Articolo completo sul sito del sole24ore

Nessun commento: